Da oggetto a soggetto dell'esperienza

Maria Teresa Speranza, Da oggetto a soggetto dell'esperienza: essere al mondo in virtù del proprio corpo

La filosofia del XX secolo ha introdotto il concetto del corpo proprio, del corpo come il nostro être-au-monde. Considerato da Platone come la prigione del corpo, e da Cartesio come una macchina, completamente separata dalla nostra coscienza, il corpo è stato a lungo considerato l’oggetto e non il protagonista della nostra esperienza. A partire dalla tesi di Merleau-Ponty, che noi siamo al mondo attraverso il nostro corpo, il saggio si propone di indagare il ruolo del corpo nell’orizzonte concettuale della percezione, dell’intenzionalità e della conoscenza, riferendosi anche all’antropologia filosofica di Arnold Gehlen e a un famoso caso della letteratura neurologica, il soldato Schneider.  

The philosophy of the twentieth century has introduced the concept of the lived body, of the body as our être-au-monde. Considered by Plato as the prison of the soul, and by Descartes as a machinery, completely separate from our consciousness, the body has long been considered the object of our experience, rather than the direct protagonist. Starting from the thesis of Merleau-Ponty, that "we are in the world by our body", the paper aims to investigate the role of the body in the context of perception, intentionality and knowledge, referring also to the anthropology of Arnold Gehlen and a famous neurologist case of literature, the soldier Schneider.

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La nozione di azione nella gnoseologia kantiana

Luca Ferrara, La nozione di azione nella gnoseologia kantiana

Uno dei nodi speculativi, attorno al quale si sviluppa la teoresi della modernità, è la complessa relazione tra soggetto e oggetto come è stata impostata da Cartesio. Secondo il filosofo francese non vi è una pacifica corrispondenza tra pensare ed essere: l’autoconoscenza del soggetto non si traduce in una conoscenza del mondo, se non tramite la mediazione dell’azione di Dio. Pur riconoscendo che l’autonomia ontologica del soggetto dall’oggetto si rivela uno dei maggiori guadagni speculativi della teoresi cartesiana, parimenti non si può non  riconoscere che tale autonomia si palesa come una delle aporie costitutive della speculazione moderna, come una piaga che si riverbera nelle sue pieghe. Muovendo da questa eredità speculativa che contraddistingue il filosofare di diversi pensatori dell’età moderna, la nostra indagine assumerà come focus teoretico la gnoseologia kantiana, la quale, interpretata alla luce della nozione di azione, può essere intesa, per un verso come un tentativo di colmare lo iato cartesiano tra io e mondo, tra res cogitans e res exstensa,per un altro come un anticipo della riflessione husserliana

  Un des thèmes spéculatifs autour desquels se développe la réflexion moderne est le rapport entre le sujet et l'objet à partir de l’approche cartésienne. D'après le philosophe français, la correspondance entre la pensée et l'être ne va pas de soi : l'auto-compréhension du sujet se traduit dans une connaissance du monde seulement grâce à la médiation de Dieu. Tout en reconnaissant que l'autonomie ontologique du sujet par rapport à l'objet se révèle un des acquis les plus important de la philosophie cartésienne, on ne peut pas dire de même par rapport au dualisme que cela engendre, une véritable plaie qui se réverbère dans ses plis. En partant de la gnoséologie kantienne, entendue comme théorie de l’action, on essaiera de montrer comment une telle plaie soit pliée à l’intérieur d’une polarité sujet-objet qui suit moins une logique de l’opposition que celle de la corrélation. D’une part est l’objet à agir sur l’apparat perceptif du sujet connaissant, d’autre part c’est le sujet à agir sur l’objet de manière aussi bien immédiate (par le moyen des formes pures de la sensibilité) que médiate (par les catégories de l’intellect). En ce sens là, la réflexion kantienne peut constituer une sorte d'anticipation de la phénoménologie husserlienne, car elle réduit l’écart entre le Je et le monde.  

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Quando essere italiani era una colpa

Massimiliano Sanvitale, Quando essere italiani era una colpa: razzismo, oltraggi e violenza contro i nostri immigrati nel mondo

I cittadini italiani che vivono in un paese straniero sono ancora oggi 4 milioni. Ad essi bisogna aggiungere quasi 60 milioni di persone di origine italiana, presenti in ogni angolo del globo. Questo significa che c’è un’altra Italia oltre le Alpi e il Mediterraneo. La presenza di un gran numero di nostri compatrioti in così tanti e diversi contesti di destinazione assicura che essi hanno profondamente contribuito a formare un’ampia parte della popolazione attuale dei paesi di accoglienza, dagli Stati Uniti all’Argentina, dal Brasile all’Australia. Tuttavia, tale situazione fece sì che gli Italiani fossero anche vittime di razzismo all’interno delle comunità ospitanti. I ricorrenti episodi di intolleranza sfociarono in alcuni casi in veri e propri “pogrom”.

Italian citizens living in a foreign country are still 4 millions. We have to add to them almost 60 millions of persons of Italian extraction: they are present all over the world. There is another Italy beyond the Alps and the Mediterranean Sea. The presence of a big number of our compatriots in so many and different target contexts ensures that they deeply contributed to form a largely part of the actual characters of the receiving countries, from USA to Argentina, from Brazil to Australia. However, this made Italians victims of the racism of the host communities. The recurring explosions of intolerance turn, sometimes, in out-and-out “pogroms”.

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La molta gente e le diverse piaghe

Roberto Messore e Pasquale Vitale, La molta gente e le diverse piaghe: fisico immorale e immorale fisico nell’immaginario dantesco

Il corpo abusato, violentato  e torturato è il locus horribilis che da fisico immorale diviene immorale fisico, il teatro del male che non necessita di nessun artificio esterno per manifestare  la sua sconcia postura. Muovendo dal principio aristotelico secondo cui  le “divizie” non possono causare “nobilitade” perché vili, né queste possono oscurarle perché disgiunte, slegate dalla nobiltà, il saggio prende le mosse dal Convivio, dove emerge claris verbis il severo giudizio morale che incombe su chi segue una natura contraria a quella tracciata dalla nobiltà. Se le ricchezze procurano affanno e preoccupazione, esse, nell’immaginario dantesco della Commedia, si tramutano in piaghe, indizio visibile di un piegamento morale. L’uomo, infatti, in virtù di un concetto di libertà di stampo aristotelico-neoplatonico derivato dallo studio della filosofia di Boezio, di Tommaso e dello Pseudo-Dionigi, può scegliere di ascendere a Dio o smarrirsi e degradarsi in bestia.

Le corps abusé, violé et torturé est le locus horribilis qui, de physique immoral devient immoral physique, le théâtre du mal qui ne nécessite d’aucun artifice extérieur pour manifester sa posture indécente. En commençant par le principe d’Aristote selon lequel les richesses ne peuvent causer de la noblesse car lâches, ni elles peuvent l’obscurcir parce que disjointes, détachées de la noblesse, notre réflexion part du Convivio, où émerge claris verbis, le sévère jugement moral qui pèse sur ceux qui suivent une nature contraire à celle tracée par la noblesse. Si les richesses causent de l’angoisse et de l’inquiétude, elles, dans l'imaginaire de la Commedia de Dante, se transforment en plaies, signe visible d'un fléchissement moral. L'homme, en effet, en vertu d’un concept de liberté de matrice aristotélicienne-néoplatonicienne, dérivé de l’étude de la philosophie de Boèce, de Thomas et du Pseudo-Denys, peut choisir de monter vers Dieu ou de s’égarer et se dégrader en bête. (trad. A. Onza)         

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Il ricorso al giudizio di terzi

Riccardo Sciacchitano, Il ricorso al giudizio di terzi per la risoluzione delle dispute nell’epica greca arcaica. Coercizione o accordo fra le parti?

Uno degli aspetti più dibattuti dell’amministrazione della giustizia in età omerica ed esiodea è se le dispute sono risolte da un giudice perché entrambi i contendenti sono intenzionati a ricorrere a un verdetto giudiziario o perché una delle due parti ha la facoltà di costringere l’altra. Gli storici hanno opinioni differenti al riguardo: alcuni ritengono che nella Grecia delle origini la parte offesa avesse la facoltà di portare l’offensore davanti a un giudice (o una giuria), altri credono che tale facoltà, non ancora visibile nella poesia omerica, è evidente soltanto a partire dai lavori di Esiodo o che nell’età dei poeti epici arcaici le dispute fossero risolte da un’autorità giudiziaria soltanto dietro accordo dei contendenti. Lo scopo di questo articolo è prendere posizione sul problema, attraverso la lettura dei passi più significativi di Omero ed Esiodo, anche se non sempre tali passi contengono espliciti riferimenti a scene giudiziarie.

One of the most debated aspects of the administration of justice in the Homeric and Hesiodic age is if disputes are settled by a judge because both disputants are inclined to resort to a judicial verdict or because one part has the power to compel the other. Historians have different opinions about the problem: some of them believe that in early Greece the injured part has the power to bring the offender before a judge (or a jury), others believe that this power, not yet visible in Homeric poetry, is evident only from Hesiod’s works or that in the age of the archaic epic poets disputes are settled by a judicial authority only on agreement of the disputants. The purpose of this article is to take a position on this issue, through a reading of the most meaningful passages from Homer and Hesiod, even if these passages not always contain explicit references to judiciary actions. 

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