GREGORIO BALDIN, Hobbes e Galileo. Metodo, materia e scienza del moto

 

Gregorio Baldin, Hobbes e Galileo. Metodo, materia e scienza del moto, Firenze, Olschki, 2017

Recensione di Salvatore Grandone

Il lavoro di Gregorio Baldin offre una lettura articolata della filosofia naturale di Hobbes. Attraverso il confronto con Galileo e Mersenne, l’autore mostra come dietro il meccanicismo hobbesiano vi sia una profonda conoscenza, da parte del filosofo inglese, delle grandi questioni scientifiche del tempo. In tal senso il volume di Baldin contrasta in modo efficace un pregiudizio molto comune, che vede in Hobbes un filosofo interessato in prevalenza a problemi politici. Grazie a una ricostruzione attenta del contesto storico e delle letture di Hobbes, Baldin fa infatti emergere il contributo originale del filosofo inglese alla rappresentazione matematica e quantitativa dei fenomeni naturali. La riduzione dell’intera realtà a materia e movimento non è affatto un semplice assioma, un punto di partenza non problematizzato: lo studio attento dei testi scientifici mette in evidenza quanto Hobbes arrivi a questa posizione attraverso un dialogo serrato con la fisica e, soprattutto, con il metodo galileani.  

Galileo – osserva Baldin – ricopre il ruolo di fondatore delle scienze fisiche, ma, di certo, non per essere stato il primo a sviluppare indagini sui fenomeni naturali, quanto piuttosto per aver ideato il corretto metodo scientifico, che consente di annoverare la fisica nell’ambito delle scienze e, perciò, della filosofia. La matematizzazione e la traduzione in termini quantitativi di una fisica aristotelica arenata al concetto di qualità rappresenta l’impresa più meritoria della filosofia naturale, tant’è che Galileo può essere definito, a buon diritto: «il più grande filosofo non solo del nostro secolo, ma di tutti i secoli» (ivi, p. 55).

Per Hobbes, Baldin ne riporta le parole, Galileo è «il più grande filosofo non solo del nostro secolo, ma di tutti i secoli». L’affermazione non va intesa però nel senso di un’accettazione acritica della filosofia naturale del Pisano. Hobbes si discosta su diversi punti dal suo “maestro”. Il filosofo inglese ha un’immagine della fisica «post-scettica» (Ibid.), per certi versi a metà strada tra quella di Galileo e quella di Mersenne: da una parte il filosofo inglese è a favore della geometrizzazione del reale e dell’esclusione dalle considerazioni dei fenomeni naturali di tutte le qualità secondarie (colori, sapori, odori ecc.) – nonché di termini che rinviano a qualità occulte o forze invisibili, come, ad esempio, simpatia, antipatia, attrazione ecc. –, dall’altra però sembra un sostenitore del probabilismo fisico e non manifesta una completa fiducia nella possibilità della filosofia naturale di cogliere l’essenza della realtà. In altri termini, Hobbes riconosce alla fisica una portata ontologica limitata. Se la filosofia naturale non è riducibile a un insieme di pure supposizioni, essa non è neanche un sistema di verità assolute. Del resto, questo atteggiamento quasi ambivalente deriva – come si evince dalle analisi di Baldin – da una tensione propria della filosofia hobbesiana: nel filosofo inglese è ravvisabile infatti sia la tendenza a voler tracciare una scienza unitaria del reale in cui tutto sia spiegabile utilizzando pochi elementi (movimento e materia) sia l’esigenza di ricorrere all’esperienza (le sensate esperienze di Galileo) per provare la validità delle proprie ipotesi – in particolare nell’ambito della filosofia naturale. In altri termini,

in alcune opere, soprattutto nel Leviathan, Hobbes insiste sull’elemento aprioristico e convenzionale della filosofia e sembra proporne un’immagine piuttosto granitica, come un unico grande sistema deduttivo, nel quale dalle premesse si sviluppano consequenzialmente tutte le conclusioni necessarie. Tuttavia, questa non è la concezione che traspare dalle sue opere scientifiche (…) (ivi, p. 117).

Questa interpretazione non monolitica dell’opera hobbesiana, in grado di coglierne le spinte interne, è uno degli aspetti più rilevanti dal punto di vista storiografico del volume di Baldin. Alla tradizionale immagine di un Hobbes nominalista, logico e assiomatico, Baldin affianca un Hobbes problematico, appassionato di scienza e versato nelle questioni fisiche, che si interroga sulle maree, sulla luce, sulla natura della materia e che partecipa alla definizione dei lemmi della fisica moderna. Il volume contribuisce quindi in modo significativo a fornire una visione meno parziale del filosofo inglese, e, grazie all’analisi puntuale dei testi scientifici hobbesiani, aiuta ad approfondire, da una nuova angolatura, le grandi questioni epistemologiche connesse alla genesi della scienza moderna.