CARLOS MIGUEL SALAZAR, Capovolgere il mondo

 

 

Carlos M. Salazar, Capovolgere il mondo. Saggio sulla Cronaca andina di Felipe Huamáán Poma, Roma, Sapienza Università Editore, Roma 2019

Recensione di Alessandra Ciattini

Il libro di Carlos M. Salazar riporta alla vita non solo il leggendario regno incaico, inghiottito dalla brutale conquista spagnola, ma anche la straordinaria figura Huamán Poma de Ayala, un indio saggio, vissuto tra il 1535 e il 1615, i cui avi avevano appartenuto ad una nobile famiglia ormai espropriata del potere. La sua opera Nuova cronaca e buon governo, dedicata alla dettagliata ricostruzione del glorioso passato e corredata da circa 400 vivaci disegni ad inchiostro, fu scoperta solo trecento anni dopo la sua stesura da Richard Pietschmann nella Royal Library di Copenaghen nel 1908 e pubblicata a Parigi nel 1936 a cura di Paul Rivet. Non stampata ai tempi di Poma per i suoi contenuti critici e arrivata in quel luogo forse perché venduta dal Duca di Olivares all’ambasciatore danese a Madrid tra il 1650 e il 1653.

I contenuti di questo straordinario manoscritto (più di 1200 fogli) vanno dalla letteratura, alla geografia, alla storia, all’etnografia, alla linguistica, alla religione, botanica, semiotica, arte; costituisce pertanto una sorta di enciclopedia illustrata sulla realtà sociale e culturale del mondo andino, per di più opera di un autore che aveva imparato lo spagnolo in gioventù, ma dominava il quechua, l’aymara e il puquina e che quindi aveva potuto stabilire rapporti diretti con la popolazione.

Prima di entrare più nel dettaglio sui contenuti dell’opera, cui Huamán Poma lavorerà 30 anni, vorrei ricordare che come accade sempre ai vinti, la loro storia è sempre scritta dai vincitori, così come, secondo un antico proverbio africano, per ovvi motivi la storia della caccia viene scritta dai cacciatori e non dalle prede. Nonostante ciò, nel periodo della decolonizzazione, sono state diffuse in varie regioni del mondo opere in cui veniva espresso il punto di vista degli sconfitti, fino a quel momento ignorato benché fosse disponibile. Tra queste opere significative va certamente ricordata La memoria dei vinti di Miguel Léon-Portilla, pubblicata in italiano nel 1962 e contenente, oltre ad una serie di riferimenti a documenti relativi al passato preispanico, anche più di 12 relazioni scritte in lingua nahua con relative immagini, nelle quali sono raccontati l’arrivo degli spagnoli e gli avvenimenti principali della Conquista. Benché queste relazioni non siano tutte della stessa qualità, ci consentono di cogliere l’immagine che gli indigeni si formarono dei loro invasori.

L’opera di Huamán Poma rientra in questo tipo di letteratura coloniale e può essere studiata con tutti gli strumenti forniti dall’etnostoria, di cui Salazar è un sensibile ed esperto specialista. Ma vediamo in particolare quali sono i temi trattati nella Nuova Cronaca e buon governo, tenendo anche presente che il suo autore patì direttamente le conseguenze della sconfitta. Infatti, poté verificare con i suoi occhi i tragici effetti del dominio europeo e lui stesso, come del resto gli altri indigeni, fu spogliato dei suoi possessi e delle sue terre.

Secondo quanto scrive Salazar vari sarebbero i temi dell’opera del cacicco indio: da un lato, «la restituzione dei territori sottratti ai legittimi proprietari, al fine di riequilibrare un ordine rovesciato» (pp. 2, 82, 113) dal trauma della Conquista; dall’altro, fomentare l’istituzione di un buon governo «basato sulla restaurazione dell’ordine ancestrale», pensando che si potesse addirittura trattare con il Re di Spagna. A questo si aggiungono la necessità di impedire il feroce sfruttamento della manodopera nativa portato avanti dagli amministratori e dal clero corrotto e il continuo richiamo ad «un passato idealizzato che, in quanto immagine dell’ordine mitologico precolombiano, avrebbe potuto riassestare il caos causato dall’invasione» (pp. 3, 178, 270). Innovativo il è capitolo 4, in cui Salazar mostra come il feudalismo andino da lui auspicato si fondi sulla distinzione etnica tra i ceti indigeni, gli afro-discendenti e i meticci.

Concludendo direi che il libro descrive acutamente un doppio capovolgimento: il primo il rovesciamento del mondo andino da parte degli iberici, «che perdevano la ragione per la voglia dell’oro e dell’argento» (pp. 178, 80,114); il secondo il sovvertimento della società coloniale e la proposta di restaurare il non obliato regno inca.