RICHARD O. PRUM, L'evoluzione della bellezza

 

Richard O. Prum, L’evoluzione della bellezza, Milano, Adelphi, 2020.

Recensione di Salvatore Grandone

Il testo di Richard O. Prum offre un ampio e profondo ripensamento della teoria dell'evoluzione. Partendo da una lettura non “scolastica” del pensiero di Darwin, l’autore mostra come l’evoluzione delle specie non si basi solo sul principio di adattamento tramite selezione naturale, ma anche sull’attrazione sessuale in cui gioca un ruolo significativo la forma dell’oggetto del desiderio.

I molteplici display e riti di accoppiamento dei manachini, degli uccelli giardinieri e di tante altre specie descritte nel libro non si possono sempre ricondurre per Prum ai meccanismi della selezione naturale. Per quali ragioni adattive, ad esempio, la femmina dell’uccello giardiniere dovrebbe scegliere il maschio che ha costruito la migliore struttura nuziale? Quale correlazione potrebbe esserci tra i complessi display dell’uccello del paradiso e il possesso di un corredo genetico che garantisca la riproduzione di una prole sana?

 

(Maschio di paradisea si esibisce nel display di corteggiamento di fronte alla femmina venuta a visitare la sua arena)

 
Per molte specie animali vale quanto Prum afferma dell’uccello giardiniere:

«Gli uccelli giardinieri sono un esempio perfetto di quello che io chiamo rimodellamento estetico, ovvero la coevoluzione delle preferenze estetiche femminili con tratti ornamentali maschili che aumentano l’autonomia femminile. Il risultato è un partner sessuale più attraente per la femmina e anche più disposto a lasciare che essa faccia le sue scelte – in altre parole un maschio attraente che deve accontentarsi di un no se la femmina preferisce non accoppiarsi con lui.» (p. 256)

 

(Uccello giardiniere che costruisce una struttura nuziale)

 

L’importanza del fattore estetico nell’evoluzione delle specie non è una tesi facile da accettare. Occorre prendere in esame almeno tre pregiudizi abbastanza diffusi. In prima istanza, l’autore mostra come la teoria darwiniana si sia trasformata in alcuni ambienti scientifici e accademici in un’ideologia che non può essere criticata o modificata. In altri termini, l’odierno darwinismo, il cosiddetto neo-darwinismo, tende a porre il principio della selezione del più adatto (del buon corredo genetico) come orizzonte onnicomprensivo per spiegare ogni fenomeno evolutivo. In questo modo però, osserva Prum, si commette un grave errore sul piano concettuale, in quanto non si prende in considerazione l’«ipotesi nulla»:

«Quando si sottopone a verifica un’ipotesi scientifica, si mettono a confronto una supposizione (ad esempio che un certo meccanismo sia la causa di ciò che abbiamo osservato) con la supposizione più generica che in realtà la nostra osservazione non sia nulla di speciale e non necessiti quindi di una spiegazione specifica, o particolare. L’ipotesi «non è nulla di speciale» è nota in ambito scientifico e statistico come “ipotesi nulla”. […] Per poter affermare che è in atto un fenomeno o processo interessante, quindi, dobbiamo prima smentire l’ipotesi nulla. Smentire l’ipotesi nulla significa confermare che sta invece davvero accadendo qualcosa di speciale» (p. 102).

Molti studiosi tendono a negare a priori la possibilità che determinati fenomeni evolutivi non abbiano in sé nulla di speciale, che essi possano semplicemente “capitare”. Eppure «la bellezza capita», e molto spesso «solo l’ipotesi di un’evoluzione casuale della bellezza può davvero abbracciare la varietà dirompente degli ornamenti sessuali» (p.128). D’altra parte, la negazione dell’ipotesi nulla non è l’unico freno che impedisce a idee come quelle di Prum di farsi strada. Anche la paura di cadere nell’antropomorfismo e il sessismo ne ostacolano spesso la ricezione.

Cominciamo con l’antropomorfismo:

«Pensare gli animali come agenti estetici con le loro preferenze soggettive è stato a lungo considerato antropomorfismo. La richiesta della «obbiettività» scientifica è arrivata a imporre di minimizzare o di ignorare le esperienze soggettive degli animali. Per spiegare il comportamento sessuale e riproduttivo degli animali, sono state elaborate teorie anedoniche della scelta del partner su base adattativa e si è ritenuto che queste stesse teorie fossero sufficienti per chiarire l’evoluzione della sessualità nella specie umana. Non solo il piacere sessuale è stato eliminato dalle spiegazioni scientifiche; esso è stato addirittura bollato come oggetto di studio non appropriato per la ricerca scientifica in generale» (p. 447).

Negare agli animali delle preferenze soggettive, in nome di una presunta obiettività scientifica da tutelare, comporta uno strano paradosso: si introduce «un’inspiegabile inversione della razionalità della natura» (Ibid.). Solo gli esseri umani potrebbero sottrarsi alla stringente logica adattativa e scegliere quindi i propri partner in modo irrazionale. Gli animali, invece, essendo stupidi, sarebbero guidati dalle mani invisibili della natura a optare sempre per il partner più adatto. Insomma, senza saperlo, gli animali sarebbero molto più razionali di noi nelle loro preferenze sessuali. Per evitare l’antropomorfismo non bisogna certo negare agli animali una forma di coscienza e di soggettività. Attraverso l’analisi attenta e rigorosa dei loro comportamenti e del loro Umwelt – per usare un’espressione di Jacob von Uexküll –, occorre piuttosto comprendere il modo unico e originario che essi hanno di percepire il mondo. In tal senso un testo recente da leggere è l’illuminate saggio di Peter-Godfrey Smith: Altre menti.

Non dimentichiamo – arriviamo così alla questione del sessismo – che l’introduzione di un criterio estetico all’interno dell’evoluzione conferisce al genere femminile una notevole autonomia nelle proprie preferenze sessuali e la capacità di incidere sullo sviluppo di diversi caratteri fenotipici. Quando Darwin propose, accanto al principio dell’adattamento per selezione naturale, la preferenza soggettiva delle femmine, fu ridicolizzato dagli scienziati dell’epoca vittoriana. Nonostante oggi viviamo una società molto più emancipata, Prum mostra come certi pregiudizi siano ancora presenti spesso a livello inconscio, costituendo un ulteriore ostacolo alla comprensione della “bellezza che capita”.

In conclusione, il lavoro di Prun è un testo interessante e originale. Lo stile è semplice, lineare e ricco di dettagli che ci permettono di immaginare gli innumerevoli display che gli animali, soprattutto gli uccelli, mettono in scena per conquistare i partner.

Un’unica mancanza nel testo è forse riscontrabile sul piano teorico. Sebbene l’autore attinga a un’ampia bibliografia per argomentare la propria tesi, non cita mai Adolf Portmann. Eppure lo studioso svizzero è stato uno dei primi che tra la prima e la seconda metà del Novecento, in un momento storico in cui la sintesi moderna stava diventando l’orizzonte teorico fondamentale della biologia evoluzionistica, ad aver insistito sul carattere estetico della forma degli animali. Ne L’autopresentazione come motivo della configurazione formale Portmann formula così il filo conduttore delle sue ricerche:

«Qualunque essere che si rapporti al mondo è contraddistinto anche dall’autopresentazione, caratteristica che finora è stata perlopiù misconosciuta. Le membra necessarie a rapportarsi al mondo, gli organi di un complesso unitario, sono configurati secondo una modalità specifica, tipica di un determinato gruppo: una modalità specifica che si esprime in strutture e comportamenti particolari e la cui peculiarità non può essere chiarita facendo ricorso soltanto alla mera conservazione dell’individuo o della specie. L’unica via per valutare adeguatamente il valore delle membra di un organismo è tener conto anche del ruolo che esse svolgono nell’autopresentazione della specie» (in AA. VV., Estetica e scienze della vita, Milano, Cortina, 2013, pp. 166-167).

Per lo studioso svizzero le forme degli animali godono di una relativa autonomia: non si deve quindi pretendere di spiegare sempre il visibile con qualcosa di oscuro e profondo. Nella forma degli animali è presente anche una dimensione di gratuità, di pura esteticità che non è riconducibile necessariamente a spiegazioni funzionali o ai processi della selezione naturale. Sarebbe stato quindi interessante vedere cosa pensa Prum dei lavori di uno studioso che si spinge forse ancora più in là rispetto a L’evoluzione della bellezza nel non ridurre la forma del vivente – qui il termine “forma” va preso in senso ampio e dinamico perché non comprende solo la sua apparenza geometrica ma anche la sua espressività (ad esempio i riti di accoppiamento) – ai capricci di geni egoisti.