CRISTIANA ANNA ADDESSO, "Teatro e festività nella Napoli aragonese"

Teatro e festività nella Napoli aragonese

Cristiana Anna Addesso, Teatro e festività nella Napoli aragonese, Firenze, Olschki, 2011

Recensione di Salvatore Grandone

Lo studio di Cristiana Anna Addesso, sulla teatralità e sulla festività cittadina napoletana in età aragonese, assolve una duplice funzione. Da una parte colma un parziale vuoto nell’ambito degli studi sul teatro aragonese; dall’altra offre una serie di spunti interessanti per comprendere l’intimo rapporto tra “spettacolarità” e teatralità, tra farsa e “intramesa”. L’autrice infatti sfuma la distinzione spettacolo-teatro, mostrando come il teatro aragonese sia in un certo senso figlio di un abitare lo spazio, della città e della corte, dove gli oggetti, le persone, le strade si caricano di un significato e di una valenza scenica. Le cause occasionali, spesso di ordine diplomatico o politico, diventano il pretesto per «un’autorappresentazione della corte» e un’«autocontemplazione reciproca di governanti e sudditi» che sintetizza al suo interno elementi spettacolari e più squisitamente letterari. La città e la corte si trasformano in un palcoscenico in cui ogni oggetto assume un valore transizionale. Nel trionfo alfonsino del 1443 e nei suoi antecedenti come, del resto, nei festeggiamenti del 1492 per la presa di Granata, si incarnano ad esempio di volta in volta le virtù della magnificenza, lo scontro tra bene e male, i grandi condottieri del passato e si costruisce, nello spettacolo, il mito della Napoli gentile. Il movimento spettacolare-teatrale è sapientemente descritto nelle gradazioni sceniche più o meno estese a cui corrisponde una minore o maggiore presenza della componente letteraria. Se nel palcoscenico della città la festività dà origine all’intramesa  (intermezzo, entremets, intramès), che si risolve soprattutto nei tableaux vivants dei cortei, delle giostre o delle pietanze, all’interno della spazio più ristretto della corte può dare origine a veri e propri componimenti come Lo Balzino di Rogeri de Pacienza o la farsa Il Magico di Pier Antonio Caracciolo, densa di echi ficiniani. Percorrendo i ritmi sinfonici e cameristici di una teatralità festosa come quella aragonese, l’autrice spinge così il lettore a ripensare in modo meno statico la distinzione tra i generi letterari, sottolineando il ruolo centrale del luogo e del contesto: una fondamentale lezione di critica letteraria che va ben al di là dei confini del saggio.