HENRI BERGSON, Corsi di filosofia. Liceo "Blaise Pascal" di Clermont-Ferrand

 

Henri Bergson, Corsi di filosofia. Liceo "Blaise Pascal" di Clermont-Ferrand, traduzione italiana e introduzione di Salvatore Grandone, Roma, In Schibolleth, 2021.

Recensione di Nicoletta Capotosti

Appena quattro anni fa, fu pubblicato - per la prima volta in lingua italiana - uno dei corsi liceali tenuti da Henri Bergson (Corso di psicologia, Liceo Henri IV 1892-1893, Milano, Mimesis 2017). L'iniziativa editoriale ebbe l'indubbio merito di diffondere un testo prezioso per la riflessione filosofica ma - contestualmente e non secondariamente - anche l'audacia di avanzare un'ipotesi interpretativa inedita sul rapporto tra i corsi (la cui pubblicazione vìola peraltro le volontà testamentarie dello stesso Bergson) e le opere compiute, date alle stampe dall'autore (N. Capotosti, recensione a Corso di psicologia, Liceo Henri IV 1892-1893, in Studi Culturali Il Mulino, 2/2017). Secondo questa lettura, sostenuta da Salvatore Grandone che del corso all'Henri IV è curatore e traduttore, non ci sarebbe una discontinuità netta tra le lezioni liceali di Bergson e le opere maggiori del filosofo.

Sulla medesima linea si colloca l'analisi di un altro ciclo di lezioni bergsoniane svolto, questa volta, al liceo Blaise Pascal di Clermont-Ferrand. Anch'esso curato da Grandone, il volume (Corsi di filosofia liceo "Blaise Pascal" di Clermont-Ferrand, In Schibboleth, 2021) presenta una serie di temi cari alla tradizione e propedeutici ai campi della filosofia della scienza, dell'estetica e della filosofia morale.

Il saggio introduttivo presenta il contesto storico-culturale in cui avvenne il trasferimento di Bergson dal liceo di Angers al Blaise Pascal. Lasciando emergere con molta chiarezza la capacità che queste lezioni hanno di ispirare una riflessione sulla dicotomia tra impianto storicistico e approccio tematico alla didattica della filosofia, l'autore mostra come esse siano impostate su quest'ultimo, costituendo una guida per i docenti che intendano praticare tale via, non ancora radicata in Italia.

«Rispetto alla diversa strutturazione dei corsi e delle opere maggiori, non è difficile dimostrare che nei primi Bergson segue soprattutto un approccio analitico. Il Bergson docente comincia da un problema-concetto; ne fornisce una prima definizione; pone una serie di domande e/o di distinzioni che chiariscono e anticipano la direzione dell'indagine; passa all'analisi dei diversi punti – spesso pervenendo anche all'individuazione di ulteriori nodi concettuali – ; giunge infine a una conclusione che, in base alla complessità del tema, ha un carattere più o meno provvisorio. Nei corsi liceali tale modo di procedere assume un aspetto abbastanza rigido e ripetitivo. [...] Non è azzardato affermare che il suo metodo sembra quasi cartesiano. Le ragioni di questa differenza di approccio rispetto ai testi pubblicati sono a un tempo istituzionali e legate alla genesi stessa della filosofia bergsoniana». (pp.14-15)

Se confrontato con lo studio sul primo corso bergsoniano tradotto da Grandone, è possibile notare in questo passaggio una maggiore propensione a sottolineare le differenze di approccio tra lezioni e opere ufficiali; questo non contraddice però la tesi interpretativa precedentemente sostenuta: già dalle prime battute, infatti, il curatore afferma l'importanza dei corsi come strumento esegetico delle opere mature, sostenendo una continuità che egli motiva qui anche con ragioni biografiche e di contesto:

«Lo spazio dell'aula è anche una fucina in cui Bergson testa delle riflessioni e analizza problemi che in quel momento sono per lui rilevanti. Il fatto di non esprimere fino in fondo le proprie idee non significa che la filosofia bergsoniana sia assente dalle lezioni. [...] Nel periodo di insegnamento a Clermont-Ferrand Bergson elabora il concetto-intuizione chiave della sua filosofia (la durata) e abbozza alcune riflessioni, come quella sul comico, che si riveleranno importanti per la successiva produzione filosofica» (p.14, p.25).

È dalle lezioni che si avvia la genesi di alcuni aspetti del pensiero bergsoniano, sebbene in esse «non siano quasi mai menzionate le intuizioni più originali del filosofo francese» (p.49).

Ci nonostante, ad imporsi in questa nuova analisi del curatore è piuttosto l'esempio didattico fornito da Bergson; questo tema, certamente caro a Grandone (L'esercizio del pensiero. Filosofia per concetti, Diarkos, 2020), trova nel saggio introduttivo al corso Clermont-Ferrand una più esplicita formalizzazione rispetto al commento del già citato corso all'Henri IV.

«Non dimentichiamo infine che lezioni di Bergson sono veri e propri esercizi di pensiero; esse hanno una grande valenza dal punto di vista didattico. Bergson insegna a definire, a distinguere, a classificare, ad argomentare e contro-argomentare una tesi; egli esercita quelle abilità e competenze che i giovani studenti liceali devono apprendere. [...] Vale la pena di chiedersi se per ridare vigore e lustro all'insegnamento della filosofia e soprattutto per inserirla meglio nelle Linee guida del Ministero, incentrate ormai da anni sulla didattica per competenze, non sia più utile proporre un approccio per problemi e concetti come quello praticato da Bergson. Certo anche Bergson si atteneva a programmi ministeriali e i suoi corsi nella loro forma originaria sarebbero oggi improponibili. Ma l'approccio per concetti sembra quello che meglio può rispondere all'esigenze educative del nostro tempo» (pp. 50-51).

La traduzione dei corsi, in particolare quello tenuto da Bergson al Clermont-Ferrand, rafforza, in effetti, l'analisi sviluppata da Grandone in lavori precedenti, sul ruolo che le immagini mediatrici avrebbero nella resa di concetti più complessi, e mette in luce il potenziale didattico-pedagogico dell'approccio bergsoniano alla filosofia. Il procedimento seguito da Bergson è effettivamente molto utile nella pratica di insegnamento: muovendo da un interrogativo, egli individua innanzitutto un campo semantico, un oggetto di indagine e uno spazio di analisi. La trattazione procede quindi chiamando in causa diverse prospettive filosofiche, le quali sono opportunamente disposte in modo da assumere varie angolature rispetto all'oggetto. Di grande pregio sono i numerosi esempi, davvero preziosi nella resa di concetti che altrimenti resterebbero avulsi da contesti esperienziali.

Particolarmente degna di nota mi pare l'efficacia delle definizioni, formulate da Bergson con un linguaggio semplice e sempre accompagnate da una casistica di adeguate applicazioni: penso, tra gli altri, all’intervento sul concetto di bello e alla struttura complessiva data dal filosofo alle due lezioni dedicate all'estetica, in cui la trattazione della facoltà è distinta da quella concernente l'arte.

Il procedimento definitorio messo in atto dal filosofo francese riesce, inoltre, a tenere insieme i numerosi contributi estrapolati dalla storia della filosofia, usandoli opportunamente per costruire il costrutto trattato, in modo da rendere visibile il progressivo ampliamento del dominio semantico esplorato.

Sebbene per stessa ammissione di Grandone - ai cui lavori va certamente il merito di aver innovato gli studi su Bergson - il materiale dei corsi non sarebbe proponibile oggi nella forma originaria (p.51), esso rappresenta un'ottima guida per insegnanti e studenti.