GIANNI VIANELLO, Dicotomia. La donna immaginata

 

Gianni Vianello, Dicotomia. La donna immaginata, Direct Publishing, 2014. 

Recensione di Nicoletta Capotosti

La ragione di una recensione al racconto di Gianni Vianello proviene dalla risposta che questo testo dà ad uno dei numerosi progetti della nostra rivista: aprire uno spazio dedicato all''immaginario vissuto da personaggi reali o letterari, narrati attraverso il linguaggio stesso che essi parlano e da cui sono forse posseduti ad un livello inconsapevole.

Far parlare quel linguaggio in un ruolo che non sia necessariamente manifestazione di una rimozione patologica, di una fuga dalla realtà e dalle sue avversità, ma si riveli piuttosto un'enorme risorsa contro possibili risvolti  nevrotici, è la scelta fatta dall'autore di Dicotomia. La donna immaginata.

In questo senso lo scritto sperimenta una via suggerita dai numerosi spunti teorici che costituiscono lo sfondo in cui si collocano i contributi di figuredellimmaginario.

Nel racconto si intersecano tre piani: quello reale e quello interiore, a sua volta distinto in due dimensioni: i ricordi di precedenti esperienze sentimentali vissute dal protagonista e il dialogo al presente con Maila la donna immaginaria a cui questi (Morel) confida alcuni episodi frustranti e determinanti che hanno segnato la sua vita. Egli li ha scoperti di recente e, - almeno questo il lettore è indotto a ritenere - proprio la reazione da essi suscitata, provoca in lui il bisogno di inventare Maila.

Ciò che più colpisce del profilo psicologico configurato è che la costruzione della donna immaginaria non è percepita come l'effetto di una rimozione: a Maila, Morel racconta in modo diretto e trasparente gli eventi che lo affliggono e - insieme a Lei - li affronta interpretandoli senza sfuggirli. Altrettanto realistica è l'immagine di questa donna, il cui profilo è sì evanescente ma al tempo stesso definito, in quanto sintesi risultante dalla sovrapposizione di alcuni ritratti femminili appartenenti al passato del protagonista.

Detto altrimenti Vianello costruisce un personaggio che  - nel fare fronte al fallimento esistenziale - sente riaffiorare alla mente i ricordi di relazioni sentimentali sempre più carichi di rimpianto, visti i disastrosi risvolti della propria esperienza. Al bisogno di evocarli Morel avverte, contestualmente, quello di difendersi dalla frustrazione e dalla sofferenza. Maila è la reazione a questo stato di cose.

Il fattore esemplare di questo personaggio è dato dal ruolo che in esso assume l'immaginario: non siamo di fronte ad una soluzione di tipo freudiano o comunque psicoanalitico; piuttosto sembrerebbe prendere corpo una via che fa capo a Bachelard e al filone che vede nell'immaginario una funzione psichica che forgia la percezione, che modifica il soggetto.

Il lettore è quasi spinto a dubitare del fatto che Morel creda effettivamente nell'esistenza di Maila; anzi, direi che Morel sembra dirci che non è rilevante, ai fini della propria esistenza, se la donna sia o meno reale. Ciò che conta realmente è l'azione performativa che quell'immagine ha sull'autostima del protagonista, il quale, in effetti, non lascia trapelare alcuna ambiguità o doppiezza della personalità: egli è consapevole di essere vittima di comportamenti esecrabili da parte di quelli che considerava i propri cari; è consapevole del fatto che questo comporta la necessità di riconsiderare molte delle scelte fatte in passato, non solo in campo sentimentale, ed è anche consapevole che "debba necessariamente esistere una giustizia". Si direbbe che nell'attesa che questa idea del giusto si concili in qualche modo con la realtà, Morel affida all'immaginario il compito di colmare quel divario.